Comunicato stampa
È secco e irremovibile il NO di Snals Puglia sulla possibilità di regionalizzare l’istruzione. Sebbene il ddl di iniziativa governativa sull’autonomia differenziata (che parla di scuola all’art.3) non abbia ancora iniziato il suo iter parlamentare, preoccupa l'accelerazione sull’istituzione di una cabina di regia per la definizione dei livelli essenziali di prestazione (Lep) con relativi costi e fabbisogni. I Lep, che riguardano i diritti civili e sociali dei cittadini, sono lo strumento cardine per l’attuazione della riforma voluta, in primis, dalla Lega.
“La nostra contrarietà esula da qualunque considerazione politica e guarda esclusivamente al bene della scuola pubblica italiana. – precisa il segretario di Snals/Confsal Puglia, Vito Masciale – Rivolgo un appello ai membri del Governo, ai Deputati e Senatori della Repubblica affinché proteggano l’unità del nostro sistema di istruzione. L’autonomia non è il male assoluto ma deve servire per ottimizzare le risorse offrendo migliori servizi al cittadino. Alcune materie, come agricoltura, ambiente, turismo, potrebbero trovare giovamento in una ricollocazione regionalistica ma questo non vale per il nostro ambito di competenza. Istruzione, sanità, infrastrutture sono materie assolutamente indevolvibili.”
Sul piano sindacale, destano grandi perplessità i possibili effetti sulla contrattazione nazionale del comparto e le possibili differenze salariali territoriali. Migliaia di docenti diventerebbero dipendenti regionali: quelli in servizio nelle Regioni più ricche (e propense ad investire sulla scuola) avrebbero buste paga più alte. In pratica, si riproporrebbe, in maniera più allargata, la situazione già esistente in Trentino Alto Adige, dove i compensi mensili sono già superiori al resto d’Italia.
Altro punto critico è l'allocazione (almeno iniziale) delle risorse finanziarie. Usando il criterio della spesa storica, lo Stato dovrebbe trasferire alle regioni del Sud meno risorse e questo avrebbe il risultato di cristallizzare il divario di servizi nel Paese. Secondo lo Svimez (centro di ricerca che studia i dati sullo sviluppo del Mezzogiorno) questo grave vulnus della riforma potrebbe addirittura esasperare il gap tra regioni ricche e regioni povere, condannando definitivamente il Mezzogiorno ad essere fanalino di coda nel processo di sviluppo. Anche definire i Lep sarà complicato, non sapendo, nel frattempo, come coprire i costi di servizi e prestazioni. I Lep, infatti, dovrebbero entrare in campo ad un anno dall’approvazione della legge.
Se il progetto leghista dovesse andare in porto, l’offerta formativa sarebbe molto più sfaccettata, anche per quanto riguarda i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO), con più risorse gestite direttamente dalle scuole e dagli Uffici scolastici regionali. Reclutamento, formazione, mobilità di docenti, ATA e dirigenti scolastici sarebbero rimodulati su base territoriale.
“Siamo pronti alla mobilitazione. Se avremo sentore che possa realmente concretizzarsi una minaccia alla scuola pubblica e al diritto allo studio per tutti, non esiteremo a mettere in campo azioni incisive.”, assicura Masciale.
“Concordo con chi dice che il nuovo assetto metterebbe seriamente in crisi la tenuta del sistema nazionale dell’Istruzione e penalizzerebbe soprattutto gli alunni appartenenti ai ceti meno abbienti delle regioni del Sud.- conclude – Come già accade per le università, la possibilità di spostarsi sul territorio regionale/nazionale o di scegliere Istituti privati non è alla portata di tutti. In più, non convince il sistema di valutazione di alunni e personale né l’eventualità di avere programmi diversi a seconda delle regioni.”
Fino ad oggi, sul ddl, possibile grazie alle modifiche apportate nel 2001 al titolo V della parte seconda della Costituzione (articoli 114-133), la Premier Meloni si è mostrata abbastanza cauta, forse per la sua appartenenza ad una forza politica che trova consensi anche nelle regioni del Sud d’Italia.
di CLAUDIO CASTAGNA
Commentaires